di Gaia Agnelli - foto Christian Lisco

Bari, la storia di Sifolà: l'artigiano "manichinaio" che crea sculture con il fil di ferro
BARI – Tra le botteghe senza insegna del quartiere Libertà di Bari ce n’è una dove regnano i fili di ferro: pendono dal soffitto, si arrampicano sulle pareti, affollano gli scaffali, dormono sul pavimento e prendono vita in sculture di persone e animali. È questo lo stravagante mondo del signor Sifola (o Sifolà come preferisce farsi chiamare), 52enne artista e artigiano barese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Quest’uomo è infatti capace di plasmare il ferro realizzando oggetti unici d’arredamento, anche se ciò che lo ha reso famoso è stata l’invenzione, negli anni 80, dei manichini fatti con i trafilati metallici, attività che gli ha regalato anche il nome d’arte  di “Manichinaio”.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Per anni lui ha venduto le sue creazioni a negozi e privati, fino a quando nel 2020 ha preso la decisione di produrre solo per sé, trasformando così il suo lavoro in un hobby che tutt’ora coltiva nel proprio locale aperto trent’anni fa.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Siamo andati a trovarlo (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Ci troviamo in via Dante, ma non possiamo rivelare il numero civico perché Sifolà preferisce mantenere segreto l’indirizzo della sua bottega (oltre al nome proprio). «Non voglio farmi pubblicità, ma solo raccontarvi la mia storia per amore dell’artigianato», afferma aprendoci le porte del laboratorio.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Una volta entrati veniamo risucchiati da un confusionario corridoio abitato da manichini, dove alcune mani in acciaio sembrano sbucare dalle mura con l’intenzione di toccarci. Tra gli scaffali riposano ordinati i trafilati suddivisi per lunghezza e spessore. Alzando lo sguardo al soffitto, rimaniamo poi stupefatti dalla presenza di paralumi e “scheletri” di ogni dimensione, appesi negli angoli più nascosti.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

«Ho iniziato a giocare con i fili di ferro da bambino, imparando da mia madre Elena che, figlia di fabbri, lavorava in una fucina e aveva confidenza con questo materiale», ci spiega il padrone di casa destreggiandosi tra le opere con i suoi quasi due metri di altezza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

La sua passione iniziò a trasformarsi in un’occupazione vera e propria a seguito di una cotta presa per una coetanea. «Durante la scuola media volevo conquistare una ragazzina – ci svela – e per farlo decisi di comprare un motorino, così da risultare più “figo”. Costava però 500mila lire e la paghetta di mio padre Elio non bastava: fu l’occasione per trovarmi un lavoretto».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Pensò così di sfruttare la sua abilità nel maneggiare il ferro e all’età di 15 anni iniziò a guardarsi attorno, bussando alle porte di varie botteghe baresi. «Trovai così un anziano fabbro disposto a darmi 60mila lire a settimana – ricorda – e accettai la proposta».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da quel momento l’artigiano cominciò ad affermarsi sempre più grazie al suo estro nel dare vita a sculture di ogni genere. Sino a quando, compiuti i 18 anni, venne contattato da un imprenditore fiorentino che gli fece un particolare ordine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


«Mi chiese se fossi in grado di realizzare per lui qualcosa di mai visto prima: dei manichini in fil di ferro – rammenta  –. Io mi misi all’opera e in una settimana gliene costruii cinque, chiedendo 80mila lire l’uno. Purtroppo però alla fine non volle pagare e, pur di venderli, me li portai sottobraccio su via Sparano con la speranza che qualcuno li notasse. E così fu: i commercianti uscirono dai negozi per fermarmi e comprarne uno».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In quell’occasione, per la prima volta, il giovane Sifola diede così vita ai suoi “scheletri” di metallo. «Nessuno li aveva prodotti sino ad allora – afferma risoluto – e ancora adesso questi manufatti sono più che altro in plastica e in legno. Sin dal principio ci misi grande amore nel crearli, tanto che per me non sono semplici oggetti ma dei figli. Oggi ci metto poco tempo per farne uno, ho sviluppato infatti una tecnica segreta. E ne ho addirittura concepiti alcuni parlanti con il supporto della tecnologia».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Da allora Sifola divenne per tutti il “Manichinaio” e per i suoi originali e inediti busti arrivarono richieste addirittura dall’estero. «La mia fama crebbe a livello internazionale – afferma mostrandoci alcuni ritagli di giornale che parlano di lui –: molte testate giornalistiche mi dedicarono articoli e fui ospitato anche dalle maggiori emittenti televisive nazionali».

L’artista ci presenta la sua opera di più difficile realizzazione: la statua di San Nicola alta due metri, i cui fili si confondono con quelli di una cicogna e di un trenino e la cui barba è addobbata con bottigliette di bevande alcoliche. «È stato faticoso soprattutto creare la testa – afferma -, ma ne è valsa la pena, dato che nel 1998 la mia statua fu posizionata accanto a quella del Patrono dinanzi alla Cattedrale».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

All’inizio del nuovo Millennio l’artigiano si ritrovò però costretto a fare i conti con l’apertura dei grandi centri commerciali all’ingrosso che cominciarono ad attrarre i negozianti per via dei costi più bassi. «Cominciai a perdere clienti – confessa rammaricato – e alla fine, l’anno scorso, ho deciso di smettere: non vendo più, anche se continuo a modellare per hobby. Oggi preferisco non essere più definito il “Manichinaio”, ma solo Sifolà: il mio cognome con l’accento finale, in ricordo dei francesi che mi chiamavano così».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il signore si posiziona ora dietro al lungo bancone per mostrarci il suo lavoro quotidiano. Parte piegando un filo con la sola forza delle mani, per poi avvalersi di pinze, incudine e martello. E così dopo pochi minuti il nome di chi scrive (“Gaia”) è pronto per andare a decorare la parete di una stanza.   

«Questa però non è la mia unica passione, sono anche uno scrittore – ci svela prima di salutarci -. Compongo per non dimenticare mai le mie emozioni». Al suo attivo vi sono infatti tre volumi: “Pensieri di un manichino in fil di ferro” del 1999, “I fili del manichinaio” di dieci anni dopo e “Il re delle gabbie” del 2012. Quest’ultimo è esposto nel locale, mantenuto da un portalibro a forma di cavallo blu. «Si tratta di storie alternate ad alcuni versi – conclude il “poeta artigiano” -  i cui protagonisti, ovviamente, non possono che essere i miei amati “busti metallici”».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

(Vedi galleria fotografica)


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